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INTRODUZIONE
E' straordinario constatare come di tanti nostri fratelli sappiamo
poco o niente. Senza dubbio è più quello che non conosciamo che quello che viene a
nostra conoscenza. Quanta ricchezza nascosta! Quanto amore silenzioso, ma vero! Nella
Beatificazione del padre Pietro Donders ogni cristiano può trovare l'occasione di
scoprire finalmente quella ricchezza di amore e di sacrificio rimasta finora sconosciuta.
Ancora una volta il Signore si compiace di attirare la nostra attenzione sugli umili e sui
semplici; su coloro che, dimenticando se stessi, si danno anima e corpo al Suo servizio.
La grande e veloce nave a vela dell'armatore Rothuis di Amsterdam ce
l'aveva fatta un'altra volta. Dopo un viaggio durato un mese e mezzo attraverso l'oceano
ora calmo ora minaccioso, entrava nella rada di Paramaribo, la capitale del Suriname,
Colonia olandese. Il porto si animò di gente: l'arrivo di una nave era pur sempre un
avvenimento. Ma quel giorno, 16 settembre 1842, per la comunità cattolica della colonia
significava l'arrivo di un altro missionario dall'Europa. Quando lo videro scendere dalla
nave, per un pò esitarono; era così magro... poi il benvenuto fu cordiale e grandioso.
Il reverendo Pietro Donders appariva un po' confuso ma felice: "Sono arrivato alla
mia destinazione, dove il Signore mi ha chiamato e dove la sua destra mi ha
guidato!", così scriveva più tardi in Olanda, da dove era partito il 1 agosto.
Sembravano parole di prete, cioè dette quasi per retorica... ma
quanto erano vere! Il Suriname era l'unica porta che il Signore aveva aperto a Pietro
Donders per raggiungere la sua vocazione. Mons. Giacomo Grooff, che era Prefetto
Apostolico del Suriname, l'anno prima era andato in Olanda, lanciando accorati appelli per
un aiuto missionario nel Suriname... La situazione era davvero sconfortante: uno solo
aveva risposto, Pietro Donders, che era l'ultimo della classe.
LA PORTA DI DIO
La venuta di Mons. Grooff nel Seminario maggiore di Haarem aveva
scosso molti ma convinto nessuno. Il suo predecessore in Suriname era morto otto mesi dopo
il suo arrivo... Degli ultimi missionari arrivati nella colonia olandese, uno dopo cinque
settimane, impazzì e morì, un altro dovette subire l'amputazione di una gamba e morì
l'anno dopo; un altro, dopo quattordici mesi, fu costretto dalla malaria a ritirarsi... La
situazione era disperata... Mons. Grooff ce la mise tutta per infiammare i seminaristi;
niente da fare: era troppo pericoloso! Pietro Donders si presentò a lui con una grande
luce negli occhi. Fu accettato con immensa gioia, anche se la sua salute non era delle
più forti e la sua intelligenza non era delle più fini.
Avere un grande cuore, come l'aveva lui, in patria non bastava...
Era stato rifiutato da tutti... e forse anche burlato. Sembrava che il Regno di Dio fosse
appannaggio degli intelligenti e dei forti anche all'interno della Chiesa stessa. Pietro
aspettava lì, in seminario, in attesa. Dio gli aprì, anzi gli spalancò la sua porta, il
Suriname, e Pietro vi entrò deciso e senza paura. Non era sempre stato il suo sogno
quello di andare in missione? Iddio, che lo aveva guidato fino allora, lo chiamò a questa
missione!
L'UOMO DALLE QUATTRO MOGLI
La vita di Pietro Donders era iniziata in maniera difficile:
povertà, malattia e morte lo accompagnarono nella fanciullezza. Nacque il 27 ottobre 1809
a Tilburg, nel Brabante settentrionale, una regione dell'Olanda. Nella cittadina, che
mediamente era povera, emergevano i quaranta fabbricanti di panni: un artigianato appena
sufficiente, ma che era pur sempre qualcosa. E a Tilburg gli abitanti facevano tutti i
tessitori; tessevano col telaio, a casa, per questi commercianti-fabbricanti di panni. A
Tilburg Arnoldo Donders passava come un uomo veramente sfortunato! Si era sposato una
prima volta... ma due anni dopo la moglie moriva. Il secondo matrimonio durava quindici
anni e portava tre figli; ma dopo 15 anni moglie e figli erano morti. Arnoldo tentò un
terzo matrimonio: nacquero due figli, malaticci, che superarono il periodo critico della
mortalità; uno di essi era il nostro Pietro... Ma la mamma muore dopo sei anni. Papà
Arnoldo dovette risposarsi per la quarta volta: bisognava combattere la miseria e la
povertà, perciò non si poteva restare soli! Nonostante questo strano movimento
familiare, la famiglia Donders era profondamente cattolica e se mancò l'agiatezza, non
mancò il calore proprio di quelle famiglie povere. I germi della educazione religiosa non
tardarono a svilupparsi per poi crescere sorprendentemente.
GLI ALTARINI NON BASTANO
A cinque-sei anni un bambino rimane preso da ciò che vede; a volte
lo imita. Il piccolo Pietro, quando tornava dalla chiesa, aveva di che fare:costruiva
altarini, innalzava rudimentali pulpiti e improvvisava sonore prediche.
Niente di eccezionale, ma il fascino religioso gli rimase dentro, anche
se gli anni passavano. Presso il maestro Drabbe frequentò la scuola fino a dodici
anni: ohimè! i risultati erano veramente scarsi. Era come una grande lanterna con poca
luce. A dodici anni un ragazzo - specie in quei tempi - poteva
diventare un valido aiuto. E Pietro fu messo al lavoro: tessitore come tutti gli altri
abitanti di Tilburg. Sentiva il dovere di aiutare la famiglia... ma Iddio cominciava ad
interessarlo veramente: pensava con insistenza alla possibilità di entrare in seminario.
Ma la povertà della famiglia era una condizione proibitiva: soldi non ce n'erano,
capacità intellettuali neppure. Però sapeva volere bene a Dio e sapeva industriarsi per
aiutare i compagni, specie nell'apprendimento del catechismo. In ciò si impegnava
seriamente al punto da commettere grossolane distrazioni sul lavoro. Ma il padrone lo
scusava volentieri: lui è troppo occupato con Nostro Signore. Il parroco Gerard van
Someren cominciò ad apprezzarlo: lo nominò ufficialmente catechista... Ma il seminario
restava un sogno troppo grande per lui!
INABILE!
Pietro era cresciuto. Affettuosamente lo chiamavano Pierino
(Peerke). A diciotto anni, come ogni cittadino, fu chiamato alla visita di leva: stava per
diventare soldato. Ma né quella volta, né le altre volte (furono in tutto cinque visite
mediche) fu dichiarato abile al servizio militare: era troppo gracile. Infine fu
riformato, come usiamo dire noi oggi. Pietro pensò che se per l'esercito non era buono,
nella milizia di Cristo poteva esserci un posto per lui. Ma
anche per il servizio di Cristo i requisiti erano esigenti: occorreva una buona salute e
anche delle capacità intellettuali. Non si vedevano molte probabilità di successo. Le
sue insistenze facevano tenerezza. Il parroco da buon
diplomatico lo raccomandò al seminario minore di St. Michel-Gestel: i movimenti bellici
avevano strappato dai seminari molte forze giovanili, chiamandole alle armi; si poteva
tentare di prendere il giovane Pietro come domestico-studente, impiegato cioè nei servizi
di casa. L'idea non dispiacque al rettore... Ma l'impietosità dei sacerdoti e il sospetto
dei giovani seminaristi lo ridussero sulle prime a semplice servitore, lasciandogli poco o
nessuno spazio per lo studio. Aveva 23 anni. Tutte le vie gli erano chiuse, le vie degli
uomini. Comunque riusciva a strappare un po' di tempo al lavoro e studiava. Una croce che
durò quasi sei anni... A ventinove anni era ancora nel seminario minore.
LA SCOMMESSA
I compagni si prendevano volentieri un po' gioco di lui. Sembrava
veramente un gioco: più appariva sprovveduto e più Pietro sognava ad occhi aperti...
addirittura le missioni estere. Un giorno era particolarmente euforico: Per un quarto di
fiorino salterò questo fosso!, scommise. Il fosso era veramente grande! Ma pur di
guadagnare quel soldo per le missioni... era pronto ad affrontare il rischio. Prese la rincorsa
e saltò... ; cadde proprio nel centro del fosso... Il fragoroso applauso risuonò un po'
ironico, ma Pietro ugualmente ricevette la moneta... Aveva raggiunto il suo scopo. Questo
fatto divenne come una barzelletta che comunque attirò su di lui l'attenzione generale.
Il rettore del Seminario maggiore gli diede a leggere gli annali di Propaganda Fide.
Il fuoco che gli covava dentro divenne un incendio. Rimase affascinato
dai resoconti missionari... specie di quelli dell'America del Nord. Per ora si trovava
ancora nel... fosso, dove era caduto perdendo la scommessa; ma il suo desiderio dove non
arrivava?!
IL "POVERO
DIAVOLO"
Il rettore del seminario era quasi seccato dalle insistenze di
Pietro. Se proprio hai desiderio di andare missionario, devi entrare in un ordine
religioso: vi sono maggiori probabilità, consigliò. Sembrò un buon consiglio, ma non
per l'Olanda di quel periodo. Il re Guglielmo I con decreto aveva proibito a tutte le case
religiose di accettare novizi.
Il Belgio era vicino, e Pietro pensò di andare a bussare lì. A Gent,
dov'era la casa provincializia dei Gesuiti, si sentì rispondere che non potevano
accettarlo a causa della sua età: aveva ormai ventisei armi. A St. Truiden, dai
Redentoristi fu rifiutato: mancanza di erudizione e di talenti. I Francescani di St.
Truiden, avendo saputo dei rifiuto dei Gesuiti e dei Redentoristi, diplomaticamente gli
dissero di tornare l'anno successivo.
C'era da sconsolarsi... Ma Pietro tornando (a piedi) in patria, pensava
di aver fatto un piccolo passo in avanti.
Si abituava a vedere così la volontà di Dio.
A trent'anni il "povero diavolo" lasciava il seminario minore
per entrare in quello maggiore di Nieuw Herlaar.
Restava intellettualmente un mediocre studente, ma intanto egli
gravitava intorno ad una orbita fissa, Dio, mentre la sua attenzione era rivolta al
prossimo.
L'INCONTRO CON I REDENTORISTI
Dio decise che era venuto il momento. La visita di Mons. Grooff, il
suo diisperato appello, il colloquio, la decisione. Diventava finalmente sacerdote e
missionario per il Suriname, colonia olandese. Tutte le incertezze furono vinte; furono
accelerati i tempi. Il 15 giugno 1841 riceveva l'ordinazione sacerdotale. Ma quando ormai
tutto sembrava già fatto per la sua partenza, diverse circostanze la rimandarono dì un
anno. Per l'impaziente don Pietro anche questo fu un segno di Dio. Difatti, durante questo
periodo venne in contatto per ben due volte con i Redentoristi, che predicarono nella sua
zona di origine due missioni: anzi una proprio a Tilburg, suo paese natale.
Questo tipo di lavoro lo impressionò: quei Padri operavano prodigi di
conversione; ben se ne avvedeva lui che fu invitato ad aiutarli nel lavoro delle
confessioni. L'aiuto missionario dato ai Redentoristi gli mise addosso una smania di
partire al punto che quando ricevette l'avviso di imbarco nel porto di Den Helder si mise
in viaggio con tanta fretta da non aver neppure l'occasione di comprare un calice, con cui
celebrare la santa messa durante la traversata oceanica. Scriverà più tardi di aver
supplito a tale mancanza con preghiere e meditazioni.
SURINAME
Ora finalmente era lì!
Colonia dell'Olanda, a nord del Brasile, tra le due Guyane, il Suriname
era abbastanza esteso: 140 mila Km: quattro volte l'estensione della stessa Olanda e quasi
la metà della nostra Italia. Nel discorso di benvenuto Mons. Grooff ne delineava le
principali note. Dappertutto erano foreste dalla vegetazione tropicale, a volte
impenetrabili. Di strade neanche a parlarne. Le vie di comunicazione erano costituite dai
numerosi fiumi che si inoltravano nell'incognito delle foreste. Con canoe ricavate da
tronchi d'albero incavati ci si poteva avventurare... ma occorreva molta abilità e i
rischi erano elevati.
Acquitrini e paludi erano lo scenario su cui regnava un caldo
soffocante ed umido, ideale per le zanzare che si presentavano a nugoli, portatrici di
malaria e di malattie.
Le stagioni venivano chiamate con nomi quanto mai significativi; grande
e piccola siccità, grandi e piccole piogge. La terra, ricca e fertile, era coltivata solo
dagli schiavi delle piantagioni. Zucchero, caffè, cacao, riso e mais erano prodotti di
allora come di oggi.
La geografia umana era come un mosaico di razze; ma
"rattoppo" sarebbe più realistico. Nella foresta lungo i fiumi vivevano gli
indiani del Suriname (Arawakken, Warrauen, Karaibi); più in là, dopo le rapide dei fiumi
vi erano i Negri della Foresta, liberi, cioè scappati dalla schiavitù.
Inoltre gli schiavi nazionali, di proprietà del governo, strappati
violentemente alla loro terra d'origine, un tempo molto numerosi, raggiungevano il numero
di circa 46.000. E poi immigrati e avventurieri di altre razze: cinesi, indù, europei
della Francia, Germania, Inghilterra...
Il calcolo di tutti gli abitanti al tempo del padre Donders arrivava al
numero di circa 140.000.
LA CIVILTA'COLONIALE DEI
BIANCHI
Paramaribo era, per così dire, la capitale della Colonia olandese.
Presentava vie e case di un certo gusto europeo, e naturalmente erano i bianchi ad
abitarle; ma dietro la fila delle eleganti casette di stile occidentale si snodava
l'orribile mucchio di casupole dei negri, schiavi dei bianchi.
I poveri negri erano immersi in una profonda schiavitù di miseria e di
oppressione e in uno sfacelo morale. Strappati con la violenza alla loro terra d'origine e
venduti come animali, essi resistevano alla frusta dei loro padroni bianchi aggrappandosi
alla loro primitività: idolatria, fornicazione, promiscuità, sporcizia, violenza... Un
vero dramma: tutto congiura a viziare i costumi in tutte le maniere. Nessuno oppone
resistenza a questa corruzione, così scriveva Pietro in Olanda. Il governo da un lato
cercava di soffocare alcune usanze religiose, che noi chiamiamo superstizioni; dall'altro
favoriva e sosteneva la colonizzazione protestante europea. Luterani, Calvinisti e
specialmente i protestanti Herrnhuter avevano campo libero... anzi gli schiavi venivano
costretti ad ascoltarli: ciò serviva a tenerli buoni.
Pietro si propose tra preghiere e mortificazioni di rendere più umana
la condizione di questa povera gente. Incominciò a imparare la lingua di questa gente:
l'inglese-negro. Lui che con i libri non era stato mai troppo amico, imparò presto e
senza fatica!
TRA PADRONI E SCHIAVI
Fin dal suo primo giro, Pietro si rese conto quale tipo di lavoro lo
attendeva.
Era un lavoro duro. Ma l'aspetto più duro era quello di "visitare
a domicilio "padroni e schiavi, vivendo nella sua carne le contraddizioni di un
cristianesimo schiavistico. Essendo bianco non poteva che incontrare avversione e odio...
Gli andava bene quando incontrava solo diffidenza. Con grande pena nel cuore vedeva la sua
impotenza di mitigare l'orribile sorte degli schiavi, resa tale dalla crudeltà a volte
incredibile dei padroni bianchi.
Nel suo diario Pietro ci ha lasciato descritto un caso che possiamo
definire tipico di quella civiltà schiavistica: Una sciocchezza di una schiava aveva
eccitato la rabbia della sua padrona. Questa la fece flagellare a sangue dalla polizia; ma
non era ancora soddisfatta. Allora fece chiudere il bimbo della schiava in uno sgabuzzino
buio... in modo che il gemito del bimbo tormentasse il cuore della mamma. I gemiti del
bimbo, forti e strazianti sul principio, durarono per buona parte della notte, poi
diminuirono fino a cessare. La povera madre sperava che il bimbo si fosse addormentato...
Ma la mattina dopo lo trovò morto e in parte già divorato dai ratti. Tali padroni e tali
schiavi Pietro Donders cominciò a visitare ogni giorno: il cuore gli si spezzava. Sia che
andasse nelle quaranta piantagioni (40.000 schiavi) sia che si recasse nell'agglomerato di
Paramaribo (8.000 schiavi) la situazione non cambiava. Il gemito degli schiavi puniti e
torturati faceva parte dei rumori della città, come fra noi è il rumore del claxon delle
auto... Questa era la civiltà dei bianchi, che raggiungevano il numero di 2043, e tra
questi solo 700 erano sposati. Trovare tra di essi gente educata e civilizzata era cosa
rara.
Erano avventurieri, criminali espulsi dai loro paesi d'origine.
Questi europei Mons. Grooff così li descriveva: erodiani, tigri e
lupi, che avevano come loro dei la carne e l'oro.
PRIMA VISITA AL LEBBROSARIO
DI BATAVIA
Era la sera dell' 8 ottobre, pochi giorni dopo il suo arrivo. La
rozza canoa s'era addentrata in un braccio stretto del fiume, mentre tre spari in rapida
successione partirono dal fucile di Mons. Grooff. A Pietro sembrarono un segnale. Infatti
nel giro di qualche minuto una campana rispose; infine un alzarsi di grida. I lebbrosi
accolsero sotto la grande croce, piantata sulla riva del fiume, il loro padre.
Batavia era stata scelta per uno scopo preciso: difficile arrivarvi
e difficile uscirvi; isolata dagli uomini e dalla natura selvaggia. Era il luogo dei
lebbrosi, circa 400, di ogni età e razza. La terribile malattia allora era
incontrollabile. Pietro ne aveva letto la bruttezza... ma ora la vedeva con i propri
occhi; ne sentiva il puzzo: una cosa nauseante. Al vedere quella povera gente non potevo
trattenere le lacrime - scriveva in Olanda - ma non posso mancare di comunicarvi una cosa:
qui mi è piaciuto tutto!
Leggiamo le sue impressioni di quel primo contatto: Uno senza le dita
dei piedi, un altro senza le dita delle mani, un altro ancora senza naso, un altro poi
cieco; altri con le gambe incredibilmente gonfie. Ad alcuni perfino la lingua è
cominciata a marcire. Vengono mattina e sera aggrappandosi a un bastone o trascinandosi,
per assistere alla celebrazione della santa Messa, ora che hanno la fortuna di avere un
sacerdote in mezzo a loro!
Ma chi erano questi lebbrosi? Erano soprattutto schiavi delle diverse
piantagioni, inviati al lebbrosario non appena avevano mostrato i primi segni della
terribile malattia. Abitavano in capanne luride, tanto da somigliare più a tane di
animali che ad abitazioni umane. Il sostegno del governo era quasi nullo. Solo il lavoro
dei missionari e specie di Mons. Grooff dava una qualche speranza a questi sventurati.
PARAMARIBO
Il reverendo don Pietro Donders dedicò i suoi primi 14 anni di vita
nel Suriname all' assistenza degli schiavi delle piantagioni. Intanto dal suo arrivo
(1842) fino al 1856 fu anche vice-parroco di Paramaribo, la città principale della
colonia. Quindi oltre ai problemi di assistenza agli schiavi (delle piantagioni e della
città) doveva badare alla istruzione religiosa dei bambini. Questo duro lavoro fu
aggravato da sopraggiunti avvenimenti. mons. Grooff era stato nominato Vicario Apostolico
dell'India Orientale Olandese (l'attuale Indonesia). Era senz'altro un grande onore e un
riconoscimento del suo lavoro. Ma per la missione del Suriname questa nomina significava
la perdita di un vero Padre. A questo punto anche il Cappellano Jansen minacciava di
andarsene. Furono indirizzate accorate lettere al Papa Gregorio XVI per scongiurare tale
perdita. Nell'attesa della risposta un'altra calamità si abbattè con violenza: la
dissenteria, una epidemia che ben presto fece molte vittime. Anche Alons. Grooff e il
cappellano Jansen furono colpiti. Gli ammalati morivano dopo atroci tormenti viscerali...
Lo sconforto serpeggiava nella comunità... Sul debole Pietro ricadde tutto il lavoro di
assistenza: era presente presso ammalati e confortava i moribondi; e la sua salute non era
delle migliori. Come Dio volle, l'epidemia cessò; mons. Grooff si riprese... ma giunse la
conferma della nomina.
Fu un colpo terribile per Pietro; senza mons. Grooff si sentiva come un
orfano. Era stato lui a farlo venire nel Suriname, in lui aveva trovato un padre e un
amico dalla esperienza preziosa...
Il posto di mons. Grooff veniva assunto dal più anziano degli altri
due missionari, il reverendo Schepers. Su Pietro, che era il più giovane, cadde la parte
più pesante del lavoro.
LE PIANTAGIONI
L'uomo è più pronto a sopportare le contraddizioni della natura.
Di fronte a malattie e anche alla morte riesce a trovare un atteggiamento. Ma di fronte
alla sofferenza causata dagli uomini spesso rimane sconvolto.
Pietro, che aveva ripreso sistematicamente le visite alle piantagioni
tra gli schaivi, con dolore ed orrore scriverà in Olanda: Oh! se si avesse qui tanta cura
per la salute e il benessere degli schiavi, quanta se ne ha in Europa per le bestie
domestiche!... Allora si starebbe molto meglio qui. Ciò che ho visto e udito supera ogni
immaginazione...
Guai al Suriname nel gran giorno del Giudizio! Mille volte guai agli
Europei, padroni degli schiavi, ai guardiani e soprastanti, che dominano gli schiavi!...
Infelici coloro che si arricchiscono con il sudore e il sangue dei poveri schiavi che
all'infuori di Dio non hanno alcun protettore!
Quel prete dall'aria così dimessa, ma col fuoco nel cuore e negli
occhi cominciava a dar fastidio. La maggior parte dei proprietari e direttori delle
piantagioni gli negavano l'ingresso, preferendogli i corrotti e simoniaci protestanti Hermhuter.
Qualcuno, però, lo gradiva... E Pietro allora con una canoa, affrontava il rischioso
viaggio, accompagnato da caldo o piogge tropicali, da animali e soprattutto dagli insetti
(le zanzare!).
Quando arrivava, trovava riservata per sé una capanna, a volte anche
grande, dove nessuno c'era stato da intere settimane. La necessaria e prudente pulizia
della capanna gli faceva accapponare la pelle: grandi vespe velenose avevano nidificato,
grandi ragni velenosi, scarafaggi, scorpioni e pipistrelli non mancavano mai. Per non
parlare delle zanzare che, pur essendo tra gli insetti più piccoli, erano le più
aggressive. Ma Pietro le lasciava pungere tranquillamente. Queste visite alle
pìantangioni Pietro le chiamava scherzosamente visite domiciliari presso il diavolo.
COSA DIRE AGLI SCHIAVI?
Questo interrogativo era l'angoscia di don Pietro. Come parlare a
gente trattata peggio delle bestie? Eppure lo doveva fare! Con veglie, digiuni e penitenze
cercava di spogliarsi completamente di sé, delle sue sicurezze, in modo da andare
assolutamente povero in mezzo ai poveri. Gli schiavi erano resi chiusi dal lavoro
massacrante e dalle torture; l'abuso di sfoghi istintuali (nei quali essi sperimentavano
una certa liberazione) rendeva più difficile il lavoro del sacerdote. Pietro parlava di
un Dio buono, che ama e vuole essere amato, che bisogna amare tutti gli uomini (!), anche
i propri nemici, che bisogna dominare le proprie passioni. Intere giornate trascorse
vicino alla loro miseria, per comunicare le principali verità della fede cattolica. La
schiavitù sarebbe durata ancora alcun anni... ma quella "maledizione" che
pesava sulle piantagioni, gradualmente fu tolta grazie alla sua opera. La diffidenza si
allentava ed egli potè arrivare più facilmente al cuore dei negrie dei bianchi. Nel periodo
che va dal 1842 al 1852 il numero delle piantagioni che gli aprirono le porte salì da due
a dodici: un successo!
Questo lavoro lo portò avanti per quattordici anni. Ad un suo caro
amico in Olanda scriveva: Chiedo la sua devota preghiera, perché ci è necessaria. Prima
di tutto perché restiamo saldi in mezzo a questi pericoli di vario genere e poi per
lavorare con successo alla conversione di tanti pagani e di tanti cristiani indifferenti.
TRA I LEBBROSI
Il reverendo Heinink, cappellano dei lebbrosi era stato ucciso col
veleno da un lebbroso vendicativo.
Il successore, reverendo Magnée, col suo carattere collerico aveva
inasprito la pazienza dei lebbrosi... C'era un preoccupante fermento.
L'incarico fu dato a Pietro. La scelta si rivelò felice: l'uomo
migliore al posto peggiore!
E' là dove altri avevano durato solo pochi mesi o al più qualche anno
egli sarebbe rimasto per ben 27 anni!
Se pensiamo al giudizio degli uomini, anche di chiesa, che non lo
ritenevano adatto per la vita sacerdotale, possiamo convincerci sempre di più che Dio fa
grandi cose nei piccoli e negli umili: Pietro Donders fu un raggio della carità divina in
mezzo all'egoismo e allo sfruttamento più profondo.
Pietro, che già aveva conosciuto il lebbrosario, sapeva quello che lo
aspettava. Noi forse no. Ecco un brano della relazione del dott. A. van Hasselbaar: E'
impossibile immaginare i mostri che vi si trovano. I loro corpi sono coperti da nodosità,
la loro pelle somiglia più alla scorza di un vecchio salice che alla pelle di un uomo. Molti
hanno perduto gran parte del palato e degli ossi nasali... La loro voce è così rauca che
è incomprensibile... E' la più grande distruzione in corpi viventi che ho mai
visto e che spero di non vedere mai più.
La nausea era resa più penetrante dall' estrema precarietà delle
condizioni igieniche delle abitazioni. Una volta i membri di una commissione governativa
di sanità scapparono fuori a vomitare. Pietro rimase al suo posto per 27 anni!
LA SUA OPERA PER I LEBBROSI
La situazione era davvero sconfortante: nessuna assistenza per i
malati. Alcuni si aiutavano a vicenda; ma molti restavano nella loro miseria, dovendo
badare da soli alle loro necessità. Il programma di assistenza governativa era scarso.
Anzi la morte di un lebbroso non era considerata una perdita. La fame affrettava la morte
di tanti di loro.
Cosa fare? Pietro Donders cominciò da quello che poteva. Metteva delle
assi di legno come pavimento nelle capanne: ciò era molto più igienico dell'argilla.
Alla fame dei più bisognosi suppliva con il suo cibo. Per i morti riuscì ad ottenere che
finalmente fossero sepolti in casse di legno. Ciò che non riusciva ad ottenere dall'Aministrazione
lo faceva lui. E trovava sempre il modo di attuarlo.
Vicinanza alla loro miseria, anzi condivisione della loro miseria. Dopo
la celebrazione della santa Messa cominciava la visita di capani più abbandonati na in
capanna, privilegiando e gli ultimi arrivati.
Le sue non erano solo parole di conforto, ma azioni concrete: spaccava
la legna, attingeva l'acqua, aiutava a mangiare e bere i più malridotti, scopava il
pavimento e portava via tutto il sudiciume, lavava le loro piaghe puzzolenti di sangue
misto a pus, le purificava e le fasciava.
Quando il direttore del lebbrosario lo ammoniva che stava passando i
limiti, la sua risposta era: Oh! non significa niente! E per 27 anni. La condivisione
della miseria corporale gli apriva il cuore dei lebbrosi. Ma non sempre: persistevano
ancora alcoolismo e impudicizia, liti violenti e ribellioni. Molti cominciarono ad
ascoltarlo e a cambiare modo di vivere. Ecco la testimonianza del direttore del
lebbrosario: Per lo zelo dei missionari questa gente non ci dà che un minimo fastidio;
anzi la morale, la tolleranza, l'obbedienza di questa gente sono totalmente cambiate.
Sembra un'altra gente.
L'ARRIVO DEI REDENTORISTI
Erano passati sette anni dal suo arrivo tra i lebbrosi di Batavia.
Nel 1863 fu promulgato un decreto del Re Guglielmo III, col quale si dava la libertà a
tutti gli schiavi "olandesi". La schiavitù veniva finalmente abolita.
Libertà significava anche libertà di religione. Si formarono pertanto
nel Suriname gruppi spontanei di razze e religione diversi. Il lavoro dal punto di vista
pastorale si complicava. Roma a questo punto decideva di affidare la missione del
Surinarne a qualche Congregazione religiosa, che potesse garantire una certa continuità.
Furono scelti i Redentoristi di Olanda.
Nel 1865 arrivarono nel Suriname i primi Missionari Redentoristi. Ai
quattro sacerdoti che già si trovavano sul posto (tra cui il nostro Pietro) fu data la
possibilità di scegliere: tornare in patria o unirsi ai Redentoristi. Due decisero per il
ritorno in patria. Pietro e il cappellano Romme si aggregarono ai Redentoristi.
Pietro, che trent'anni prima era stato rimandato indietro per mancanza
di salute e di capacità intellettuali, ora veniva accolto a braccia aperte. Di lui. dirà
il Rettore e suo Maestro di Noviziato: qui ha il nome di santo. Pregare, mortificarsi,
fare la carità sono il suo piacere. Si lascia guidare come un bambino e obbedisce alla
cieca. Ah! Fosse un po' più giovane! Ha grande influenza su tutti: sul povero e sul
ricco, sul malato e sul dottore, sul governatore e sugli alti ufficiali... Ha buona
salute... e pelle dura! Il 21 novembre 1866 (a 57 anni!) Pietro vestì l'abito dei
redentoristi e il 24 giugno dell'anno successivo emise i voti nella Congregazione del SS.
Redentore. Ma lui possedeva già in pienezza lo spirito della nostra Congregazione:
predilezione per i più poveri ed abbandonati, come disse qualche suo confratello. Anzi,
si potrebbe dire che il suo ingresso nella Congregazione sia stato un complemento
esteriore della sua personalità religiosa.
Naturalmente gli fu affidata ancora l'assistenza al lebbrosario di
Batavia; ma ora era diverso. C'era aiuto e poteva respirare un po'. Ma non per molto.
SONO PRONTO A MORIRE
Ora che c'erano altre forze, Pietro chiese ed ottenne di potersi
dedicare anche agli indiani della foresta.
Quasi sei dei dodici mesi dell'anno li trascorreva peregrinando per
zone sconosciute alla ricerca di tribù indiane da evangelizzare. Furono i più duri
viaggi della sua vita: avventurarsi nel fitto della vegetazione tropicale senza avere un
sentiero sicuro tracciato. A volte si smarriva, altre volte era costretto a tornare
indietro; ma il più delle volte riusciva a raggiungere gli indiani.
Tentare un approccio di evangelizzazione era sempre problematico. Gli
indiani erano più sensibili alla birra, al vino e ai prodotti dei bianchi che alla loro
religione. Con piccoli mezzi (immagini, figure, un organetto ... ) tentava di entrare
nella loro cultura. Questi indiani avevano il concetto di un Essere Supremo, anzi di un
Grande Spirito. Erano straordinariamente superstiziosi e la loro vita era in preda alla
paura degli spiriti maligni; paura alimentata dai loro stregoni.
Questi avevano stretto un patto con giuramento tra loro di non
accettare la nuova religione, né tanto meno farsi battezzare. Più volte il povero padre
Pietro fu assalito, bastonato e minacciato dì morte. Anche se non aveva la stoffa
dell'eroe, padre Pietro accettava i rischi che provenivano dal suo lavoro.
Una volta, dopo una lunga e paziente preparazione stava per
amministrare il battesimo a un paio di bambini. Improvvisamente irruppe nella capanna in
indiano che brandiva minacciosamente un grande coltello. Con straordinaria calma padre
Pietro rispose: io sono pronto a morire, ma prima lasciatemi battezzare questi bambini.
L'assalitore restò confuso; si era trovato dinanzi a un eroe, un eroe di Dio.
Diranno di Donders in seguito: Se gli indiani del Suriname (almeno
quelli che si conoscono) oggi sono cattolici, è dovuto al lavoro eroico dell'Apostolo
degli Indiani, a Pietro Donders.
LA SUA CROCE
La sua croce fu I' Apostolato tra i negri liberi! Da lungo tempo
aveva desiderato questo lavoro. E nel 1869 gli fu possibile; ma aveva 60 anni, e tanto
lavoro sulle spalle.
I negri del Suriname provenivano dall'Africa, dai grandi mercati di
schiavi. Strappati con violenza alla loro terra e ai loro affetti, venduti e trattati come
bestie, dopo l'abolizione della schiavitù avevano cercato libertà e identità nella
foresta.
I negri con cui trattò padre Donders erano soprattutto negri scappati
dalle piantagioni o che avevano preferito la foresta alla crudele civiltà dei bianchi.
Ciò significò un ritorno al "primitivo", alla legge del più forte, ai furti.
Erano sempre divisi tra di loro; ma quando si trattava di assalire le piantagioni erano
straordinariamente uniti. L'odio contro il comune oppressore e sfruttatore operava tale
unità. Ed erano temibili! Padre Donders era stato buono con i negri delle piantagioni. In
ciò egli aveva fiducia: si sarebbero ricordati di lui.
Veniva accolto con curiosità, ironia, disprezzo. Tentò la via severa:
cioè alzò la voce contro i loro peccati e le loro superstizioni; ma i negri si
infuriavano. Una volta a stento riuscì a salvarsi. Tentò la via della dolcezza: ma non
riuscì a realizzare un contatto soddisfacente. Qualche mese prima di morire scriverà:
con i negri non la va secondo i miei desideri. Ma anche le contrarietà e le stesse croci
vengono da Dio... e senza croce non si combina nulla.
Fu la sua croce. Molti anni dopo questa croce si coprì di vita.
TRA I CONFRATELLI
Quando padre Pietro ritornava dai suoi viaggi era sempre al
lebbrosarío di Batavia.
Nel 1883 venne in visita il vescovo mons. Schaap. Un gruppo di lebbrosi
chiese un colloquio con lui. Il vescovo non li capiva, perciò invitò padre Pietro a fare
da interprete: Vogliamo un altro parroco... P. Donders è troppo vecchio, non lo capiamo e
poi dice sempre le stesse cose. Padre Pietro traduceva... Una cosa penosa!
Il vescovo li accontentò. Così dopo quarant'anni di intensa.
attività, a 74 anni Pietro Donders fu invitato a trascorrere la sua vecchiaia nella
comunità dei redentoristi a Paramaribo...
Ma... quale vecchiaia? Si mise a lavorare così intensamente che lo
stesso vescovo ebbe a riconoscere: Padre Pietro lavora come un sacerdote novello! Ed era
confortato dall'affetto, a volte anche un po' mordace, dei suoi confratelli. Si scherzava
sulla sua vecchiaia, sul suo nome: è un vecchio donders (inutile)... Ma a chi è saltato
in mente di accettarlo?
Lui ci rideva su; era contento. Scriveva al Padre Provinciale in
Olanda: Sperimento ogni giorno di più quanto grande è la gioia di essere nella nostra
congregazione e di vivere come fratelli in comunità!
VERSO LA FINE
Questa tranquillità non durò a lungo. Fu trasferito a
Coronie, dove all'età di 77 anni fu costretto ad iniziare da capo il suo lavoro in una
terra a lui sconosciuta. Ma ci si mise con buona volontà e nessuna difficoltà era troppo
grande per lui. Il segreto? Dirà di lui un suo confratello: Tutti i giorni e le notti del
Padre Donders erano piene di Dio! Intanto una seria malattia ai reni lo costringeva per
lunghi periodi a letto.Intanto unas seria malattia ai reni lo costringeva per lunghi
periodi a letto. Nel 1855 fu ancora una volta trasferito. Di nuovo tra i lebbrosi di
Batavia; ma ora vi andava da sofferente. Con le poche forze che gli rimanevano, insieme a
padre Bakker, malato di lebbra, serviva ancora i suoi fratelli sofferenti. Tentò ancora
qualche viaggio tra i negri e gli indiani... Ma le forze erano ormai allo stremo.
Alla fine di dicembre del 1866 visitò per l'ultima volta gli ammalati,
quelli che proprio non potevano uscire; ascoltò le loro confessioni e portò loro il Pane
Eucaristico.
Festeggiò il Natale insieme agli altri e l'ultimo giorno dell'anno
fece l'ultima predica.
Il male che lo affliggeva - la nefrite - peggiorò rapidamente, non ce
la faceva proprio più. Gli mancarono anche le cure mediche, perché a Batavia c'era un
solo medico, per altro quasi sempre ubriaco. La misura era giunta così al colmo: colui
che per 45. anni aveva inventato tutto e fatto tutto per gli ammalati, ora era trascurato
e senza assistenza medica.
Nella notte tra il cinque e sei gennaio 1887 il padre Donders di sua
iniziativa chiese di ricevere il sacramento degli infermi. Glielo amministrò il P.
Bakker, anche lui ammalato. Mercoledì 12 gennaio padre Pietro disse al suo confratello
con un sorriso: Abbi ancora un po' di pazienza... Venerdì alle tre del pomeriggio
morirò!
Venerdì 14 gennaio il vecchio padre Donders terminò la sua lunga vita
di preghiera e di amore.
La sua morte chiamò a raccolta quanti lo avevano conosciuto nella sua
lunga vita. Fu uno spettacolo commovente vedere soprattutto i lebbrosi che si trascinavano
letteralmente dietro la bara. Ai piedi della grande croce fu letto un breve elogio
funebre. Poi la terra accolse il suo corpo, mentre il cielo si arricchiva di una vivissima
gemma.
Per tredici anni il suo corpo rimase a Batavia. Nel 1909 il lebbrosario
di Batavia fu abbandonato, perché si aprì a Paramaribo la nuova "Fondazione S.
Gerardo Maiella"; qui fu traslata la salma dell'Apostolo degli schiavi, degli indiani
e dei lebbrosi.
Dal 1921 le sue spoglie riposano nella cattedrale di Paramaribo,
dinanzi all'altare di S. Giuseppe.
Ora toccherà anche a lui un altare di gloria. In terra era stato lui
stesso un altare di sacrificio e di amore. Egli aveva messo al centro del suo esistere non
se stesso, ma l'altro; per cui la sua vita sbocciò, fiorì e si consumò per gli altri.
Un piccolo uomo in cui il Signore ha realizzato una viva
testimonianza del suo Amore!
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